Medicina di genere e prevenzione

Medicina di genere e prevenzione. La medicina di genere è un argomento sul quale si confrontano da diversi anni non solo le Società scientifiche ma, più in generale, tutte le Istituzioni che hanno come obiettivo la promozione della salute in tutti i suoi vari aspetti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha da tempo sottolineato l’importanza dell’attenzione al genere nei ruoli e nelle responsabilità delle donne e degli uomini, nell’accesso alle risorse, nella diversa posizione sociale e nelle regole sociali che sottendono e governano i loro comportamenti.

Già nel 1998 OMS aveva preso atto delle differenze tra i due sessi e inserito la medicina di genere nell’Equity Act. Questo a testimonianza che il principio di equità doveva essere applicato all’accesso e all’appropriatezza delle cure. L’individuo va considerato nella sua specificità e come appartenente a un genere con caratteristiche definite.
Nel 2015, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha approvato i 17 obiettivi dello Sviluppo Sostenibile. All’interno di questi il quinto si propone di “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare donne e ragazze”.

Grazie a questi avvenimenti molte sperimentazioni cliniche dei farmaci e dei dispositivi medici hanno visto l’inserimento delle donne in campioni di popolazione selezionati in base al genere in modo paritetico. E’ stata posta attenzione particolare a diverse patologie un tempo ritenute tipicamente maschili come, per esempio, le malattie cardiovascolari, determinando un approccio diverso alle stesse.

Dalla medicina tradizionale alla medicina di genere

Dagli anni Novanta la medicina tradizionale ha subito una profonda evoluzione attraverso un approccio innovativo mirato a studiare l’impatto del genere e di tutte le variabili che lo caratterizzano (biologiche, ambientali, culturali e socioeconomiche) sulla fisiologia, sulla fisiopatologia e sulle caratteristiche cliniche delle malattie.
Fino a quel momento, infatti, la medicina aveva avuto un’impostazione androcentrica relegando gli interessi per la salute femminile ai soli aspetti specifici legati alla riproduzione.

È nel 1991 che per la prima volta viene menzionata in medicina la “questione femminile”. La dottoressa Bernardine Healy, cardiologa americana e Direttrice del National Institute of Health, pubblica un editoriale sul New England Journal of Medicine, intitolato “The Yentl syndrome”. Qui evidenzia la differente gestione della patologia coronarica nei due generi, con un numero ridotto di interventi diagnostici e terapeutici effettuati sulle donne rispetto agli uomini, a parità di condizioni e, dunque, un approccio clinico-terapeutico discriminatorio e insufficiente se confrontato con quello praticato nei confronti degli uomini.

La nascita della medicina di genere

Nasce così la medicina di genere, il cui obiettivo è comprendere i meccanismi attraverso i quali le differenze legate al genere agiscono sullo stato di salute e sull’insorgenza e il decorso di molte malattie, nonchè sui risultati delle terapie. Gli uomini e le donne, infatti, pur essendo soggetti alle medesime patologie, presentano sintomi, progressione di malattie e risposta ai trattamenti molto diversi tra loro.

In quest’ottica lo studio sulla salute della donna non è più circoscritto alle patologie esclusivamente femminili che colpiscono mammella, utero e ovaie. Rientra invece nell’ambito della medicina genere-specifica che, parallelamente al fattore età, tiene conto del fatto che, ad esempio, il bambino non è un piccolo adulto, che la donna non è una copia dell’uomo e che l’anziano ha caratteristiche mediche peculiari.
Solo procedendo in questa direzione è possibile garantire a ogni individuo, maschio o femmina, l’appropriatezza terapeutica, rafforzando ulteriormente il concetto di “centralità del paziente” e di “personalizzazione delle terapie”.

Differenze di genere in oncologia

Medicina di genere e prevenzione. La medicina di genere è una scienza multidisciplinare che si propone, attraverso la ricerca, di identificare e studiare le differenze tra uomo e donna. Non solo nella frequenza e nel modo con cui si manifestano le malattie, ma anche nella risposta alle terapie. L’obiettivo è quello di impostare dei percorsi preventivi, diagnostici, terapeutici e assistenziali specifici per ciascuno dei due sessi.

Come affermato anche dal Ministro Schillaci nel suo intervento in occasione dell’Assemblea Nazionale LILT, il Ministero della Salute considera l’oncologia una priorità di programmazione nazionale.
Le evidenze scientifiche dimostrano che l’attivazione di percorsi dedicati offre significativi vantaggi in termini di sopravvivenza e di complessiva qualificazione delle cure e della qualità di vita.

Il tumore è una malattia ambientale

La trasformazione cellulare che conduce al tumore è determinata da alterazioni del patrimonio genetico, ma il tumore viene considerato principalmente una malattia ambientale con il 90-95% dei casi attribuibili a fattori ambientali e il 5-10% alla genetica ereditaria. Fumo (25-30%), alimentazione e obesità (30-35%), infezioni (15-20%), alcol, radiazioni ionizzanti, stress, assenza di attività fisica e inquinanti ambientali.

La medicina di genere si pone pertanto come obiettivo quello di realizzare una condizione di “salute” ponendo attenzione non solo alla malattia in quanto tale, ma anche ai fattori che, a partire dagli stili di vita, contribuiscono a “determinare” la salute di donne e uomini e a condizionare l’incidenza dei tumori.

Nel 2022 in Italia si sono registrate 390.700 nuove diagnosi di tutti i tumori di cui 185.700 nelle donne per le quali, in ordine decrescente di incidenza stimata, i più frequenti sono il tumore della mammella (55.700 casi), il tumore del colon-retto (22.100), il tumore del polmone (14.600), il tumore dell’endometrio (10.200) e il tumore della tiroide (8.700).

Medicina di genere

Per molti decenni, gli studi oncologici sono stati squilibrati in termini di genere. Oggi appare invece evidente che il genere influenza la fisiopatologia, i segni clinici, l’esito e la terapia dei tumori. Pertanto, la variabile sesso dovrebbe rappresentare un importante fattore di stratificazione ed essere inclusa in tutte le sperimentazioni sia cliniche sia pre-cliniche.
Una migliore comprensione delle differenze biologiche tra maschi e femmine può orientare le strategie terapeutiche verso cure sempre più personalizzate. E, conseguentemente, verso una più efficace gestione clinica della malattia neoplastica.

I programmi di screening al femminile in Italia

Il Servizio Sanitario Nazionale effettua programmi di screening per la prevenzione di tumori tipicamente femminili, seno e collo dell’utero.

Screening per il tumore del seno


Il tumore della mammella è la neoplasia più frequente nelle donne nelle quali circa un tumore maligno ogni tre è un tumore mammario.
Lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si rivolge alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e si esegue con una mammografia ogni 2 anni.
In alcune Regioni si sta sperimentando l’efficacia in una fascia di età più ampia, quella compresa tra i 45 e i 74 anni.
La mammografia è un esame radiologico della mammella, che consente di identificare precocemente i tumori del seno. E’ in grado infatti di individuare i noduli, anche di piccole dimensioni, non ancora percepibili al tatto.  In caso di un sospetto, al primo esame seguono ulteriori accertamenti diagnostici che, all’interno dei programmi organizzati di screening, possono essere una seconda mammografia, un’ecografia, una risonanza magnetica e una visita clinica.
A questi esami può far seguito una biopsia per valutare le caratteristiche delle eventuali cellule tumorali.

Screening per il tumore del collo dell’utero


In Italia il carcinoma della cervice uterina rappresenta il quinto tumore per frequenza nelle donne sotto i 50 anni di età e complessivamente l’1,3% di tutti quelli diagnosticati . La probabilità di guarire dopo una diagnosi di tumore del collo dell’utero in Italia è pari a circa il 64%.
I test per lo screening del tumore del collo dell’utero sono il Pap-test e il test per Papilloma virus (HPV-DNA test). Il test impiegato finora è il Pap-test, offerto ogni 3 anni alle donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni. Poichè recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato che sopra i 30 anni è più costo-efficace il test per il Papilloma virus (HPV-DNA test) effettuato ogni 5 anni, tutte le Regioni si stanno impegnando per adottare il modello basato sul test HPV-DNA.
Simile a quello del Pap-test (prelievo di una piccola quantità di cellule del collo dell’utero, eseguito strofinando sulle sue pareti una spatolina e un tampone), l’esame deve essere effettuato non prima dei 30 anni ed essere ripetuto con intervalli non inferiori ai 5 anni in caso di negatività.
Dai 25 a 30 anni l’esame di riferimento rimane il Pap test da eseguirsi ogni tre anni. In giovane età, infatti, la probabilità di avere una infezione da HPV è molto alta senza che questa assuma una importanza clinica.
Nei casi in cui l’analisi al microscopio mostri la presenza di cellule con caratteristiche pre-tumorali o tumorali, il protocollo dello screening per il cancro del collo dell’utero prevede l’esecuzione di esami di approfondimento (colposcopia). A questi può far seguito una biopsia, un prelievo di una piccola porzione di tessuto anomalo da sottoporre a un’analisi che confermi definitivamente le caratteristiche esatte della sospetta lesione.

 

FONTI:

– Quaderni del Ministero della Salute – N. 26, aprile 2016 “Il genere come determinante di salute. Lo sviluppo della medicina di genere per garantire equità e appropriatezza della cura”
– Ministero della Salute – Piano Oncologico Nazionale. Documento di pianificazione e indirizzo per la prevenzione e il contrasto del cancro 2023-2027
– I Numeri del Cancro 2022
– https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?id=4511&area=Salute+donna&menu=prevenzione