Psicologia e cure Palliative: ne parliamo con Anna Porta, psicoterapeuta dell’Hospice di Biella che ha partecipato alla realizzazione del documento pubblicato dalla Società Italiana Cure Palliative
Fa parte del team dell’Hospice di Biella dal lontano 2005 e, per tutti, è la Dott.ssa che, con la sua presenza, sostiene e accompagna psicologicamente i malati e le loro famiglie durante il difficile percorso del fine vita in Hospice. Anna Porta è Psicologa e Psicoterapeuta da sempre impegnata anche nell’ambito della ricerca in campo palliativista.
E il suo contributo non è mancato nemmeno per la realizzazione di uno studio da lei coordinato, recentemente pubblicato dalla Società Italiana di Cure Palliative dal titolo “PSICOLOGI IN CURE PALLIATIVE. Contributo degli psicologi alle cure palliative” realizzato con altre 3 dottoresse indicate dalla SICP Loredana Buonaccorso, Gaia Mistretta e Marica Mulé.
Il documento, pubblicato nei giorni scorsi sul sito della SICP, mette a disposizione una disamina di pratiche professionali degli psicologi in ambito delle Cure Palliative ed è dedicato a tutti coloro che affrontano il lavoro di psicologo in questo settore e hanno necessità di inquadramento, di orientamento e di una cornice di riferimento.
Psicologia e cure pallitive: l’intervista alla Dott.ssa Anna Porta
Per capire meglio ed approfondire un lavoro durato quasi due anni, abbiamo intervistato direttamente la Dott.ssa Porta che ben ha inquadrato la situazione.
Dott.ssa Porta, perché era necessario un contributo così?
“Il lavoro degli psicologi nel campo delle cure palliative è una pratica che non può prescindere dall’interdisciplinarità e dal lavoro con l’equipe e che è determinata da uno specifico professionale. L’obiettivo che ci ha guidato sin dall’inizio è stato quello di di individuare delle buone pratiche psicologiche in cure palliative. Per farlo abbiamo lavorato a lungo sulle fonti già esistenti, sia italiane che internazionali e sulla normativa, ci siamo confrontate con le esperienze date dal lavoro quotidiano, la letteratura e le evidenze. Il documento pubblicato a fine luglio è il punto di partenza di un lavoro che prevede alcuni steps successivi” .
Le buone pratiche non sono modelli teorici ma esperienze concrete.Quali sono i setting di cura presi in esame?
“I setting in cui vengono erogate le cure palliative sono essenzialmente tre: ospedale, terrritorio ed hospice. In questi ultimi due contesti il lavoro dello psicologo rispetta percentualmente, in maniera considerevolmente maggiore le indicazioni dalla legge 38/2010, legge che disciplina le Cure Palliative in Italia. In ospedale, le buone prassi ci indicano invece prestazioni più consulenziali e il destinatario degli interventi è quasi sempre la persona malata, così come è rara la presenza di uno psicologo interno alla equipe. Più strutturati, invece, sono sicuramente gli interventi dello psicologo nelle equipe territoriali dove, se attivato dalla micro-equipe, può prendersi in carico non solo il paziente ma anche il caregiver e la famiglia all’interno di un contesto domiciliare, lavorando con l’equipe. In Hospice, infine, lo psicologo è ben difficile che non sia integrato nell’equipe con cui ha rapporti fluidi e continuativi, può prendere in carico una persona malata, ha un contatto più diretto con la famiglia di cui può cogliere i bisogni emotivi e lavora con e per l’equipe”.
E quali i destinatari?
“In primis, la persona malata. Lo psicologo in cure palliative lavora a contatto con i pazienti, proponendo interventi psicoterapeutici che rispondono a diversi bisogni. Per questo è per lui così importante conoscere il contesto di appartenenza del paziente, ma anche le “traiettorie” della sua malattia. Poi la famiglia, ovvero tutte le persone con cui il paziente condivide forti legami emotivi, e che sono investite dalla malattia. Lo psicologo lavora con intera équipe di cure palliative supervisionandone il clima lavorativo, cogliendone i bisogni è anche e soprattutto consulente ed esperto della comunicazione e della relazione. Compito dello psicologo è quello di risignificare in equipe e con l’equipe le dinamiche interne alle famiglie, ma anche tra persona malata ed equipe per comprenderne i comportamenti e quindi trovare la giusta modalità relazionale“.
Adesso che le prime basi sono state poste, quali saranno i prossimi passi del vostro lavoro di ricerca?
“Vogliamo proseguire nel costruire una linea comune di intervento per chi lavora in questo campo. Per farlo abbiamo strutturato il nostro progetto di ricerca in diverse fasi. A breve ci auguriamo che possa partire la seconda che comporta la costruzione di una survey da inviare agli psicologi che lavorano in Cure Palliative per verificare sul campo il modus operandi. I dati elaborati e i risultati ottenuti ci permetteranno di analizzare ancora più a fondo la realtà, e le specificità e le criticità del lavoro dello psicologo in cure palliative ed eventualmente aiutare chi si occupa di formazione a costruire percorsi formativi specifici“.