Com’è arrivato un visore tridimensionale in Hospice?

L’Hospice è un luogo di passione, un luogo in cui la vita e la morte si sfiorano inevitabilmente e dove la sofferenza fisica viene contrastata per dare all’uomo nei suoi ultimi istanti la maggiore dignità possibile.
Medici, infermieri, operatori e volontari LILT agiscono ogni giorno per alleggerire il peso che ogni paziente e caregiver porta con sé: le cure palliative, l’appoggio psicologico e un ambiente pensato come luogo di accoglienza – una casa, non un reparto – sono finalizzate proprio a questo.

Un regalo speciale

Strumenti coadiuvati oggi anche da dispositivi tecnologici in maniera un tempo impensabile: per aiutare a sognare, ad emozionarsi, e a lenire sempre più la sofferenza e le preoccupazioni dei pazienti e dei loro parenti e amici.
Da qualche mese l’Hospice “L’Orsa Maggiore” è infatti dotato di un visore tridimensionale di ultima generazione: il dono di una figlia per la sua mamma che desiderava vedere il Louvre almeno una volta e per tutti coloro che soffrono a causa dello stesso male.

«Con questo visore abbiamo realizzato i desideri di molti pazienti: – dice Lorenzo, giovane infermiere dell’Hospice – visitare musei, assistere alla finale di Champions, guardare un documentario di animali e fluttuare tra le stelle in maniera completamente immersiva. Una volta una paziente ha chiesto a suo marito di indossare il visore per portarla virtualmente davanti all’azienda per cui ha lavorato tanti anni e alla casa in cui hanno vissuto per tutta la vita per vedere quei luoghi un’ultima volta insieme».
Un modo straordinario per abbattere spazi e tempi in cui la malattia cerca di confinarci e ridurci.

La testimonianza

Federica trattiene a stento le lacrime nel ricordare la sua mamma.
«La malattia di mamma l’ha limitata molto per via dell’ossigeno. Nel momento stesso in cui le è stato diagnosticato il tumore ai polmoni ha avuto il vincolo della bombola». Si ferma un attimo e riprende: «La cosa che a lei dispiaceva di più era non potersi più muovere in autonomia. Mamma era una persona che ha sempre viaggiato moltissimo, non solo all’estero ma anche sul territorio nazionale perché ha lavorato tanti anni in Toscana e mensilmente andava a trovare amici e colleghi. Negli ultimi 20 mesi non lo ha più potuto fare ed è una cosa che la ha fatta soffrire molto».

«Quando i medici mi hanno parlato della possibilità di portare mia mamma in Hospice ero molto preoccupata perché non conoscevo la struttura. Una volta entrata mi sono rassicurata, ma mi angosciava comunque l’idea di non sapere quanto saremmo dovute stare lì.
Durante il periodo trascorso in Hospice, favoloso in termini di recupero della dignità umana per una situazione cha a casa con fatica riuscivamo a gestire, mia mamma era sempre vincolata alla bombola nella sua stanza. Per lei sono stati due mesi pesanti, proprio per l’impossibilità di uscire.
Sapevo che le pareti di quella stanza sarebbero state le ultime cose che avrebbe visto».

Federica si emoziona, ma riconosce l’importanza del suo gesto, non solo per sua mamma: «Volevo farla uscire in qualche modo dalla stanza e Lorenzo mi ha aiutata, suggerendomi l’idea del visore. Mamma non era particolarmente avvezza alla tecnologia, e ormai le sue priorità erano diventate altre, ma avrebbe sicuramente desiderato che questo strumento potesse aiutare altre persone nella sua situazione. Sono contenta di leggere come sia effettivamente così! Grazie!».